
Pubblica Amministrazione e Magistratura: un equilibrio da ripensare
Negli ultimi anni, il dibattito sulla “paura della firma” e sull’interazione tra pubblica amministrazione e magistratura ha assunto un ruolo centrale nelle riforme legislative. L’abolizione dell’abuso d’ufficio e il disegno di legge Foti sulla Corte dei conti sono esempi di interventi che mirano a restituire autonomia ai funzionari pubblici, spesso paralizzati dal timore di responsabilità giudiziarie. Ma è davvero solo la magistratura a frenare l’azione amministrativa? Oppure vi sono cause più profonde legate alla gestione delle risorse e alla formazione dei dipendenti pubblici?
Nel suo ultimo intervento su Il Corriere del Veneto, l’avvocato Guido Barzazi analizza i fattori che hanno reso l’amministrazione pubblica sempre più debole e riflette sulle soluzioni necessarie per un equilibrio più efficace tra autonomia decisionale e controllo giurisdizionale.
Il leit motiv delle più recenti riforme che hanno interessato la pubblica amministrazione è la volontà di sollevare i funzionari pubblici dalla cosiddetta “paura della firma”, cioè da un atteggiamento difensivo dovuto al timore delle iniziative del potere giudiziario che sarebbe causa del rallentamento dell’attività dell’amministrazione.
Questa la principale giustificazione sia della recente abolizione dell’abuso d’ufficio sia del disegno di legge Foti di riforma della Corte dei conti. Si parte dall’idea che l’amministrazione, già limitata nella sua autonomia nel progetto costituzionale originario, oggi sia ulteriormente indebolita dal controllo della magistratura sulla sua attività. Un monitoraggio, questo, percepito come troppo invasivo, al punto da frenare persino il rilancio economico, e che secondo alcuni giustifica un intervento legislativo stabile, che superi i provvedimenti contingenti adottati durante la pandemia.
Vari aspetti di questa posizione – che per altro pare contare su un sostegno sostanzialmente bipartisan – non convincono però pienamente.
In primo luogo, va detto che accomunare la responsabilità contabile, fondata sulla violazione colposa di regole di comportamento, con la violazione dolosa di norme di legge propria dell’abuso d’ufficio si rivela in realtà una forzatura.
Infatti, se una finalità “difensiva” può essere ravvisata nel pubblico funzionario che non decide per il timore di incorrere in una responsabilità contabile, ciò è assai meno verosimile per l’ormai abrogato abuso d’ufficio, sia per l’abuso di vantaggio cioè per la violazione delle regole sul conflitto di interesse, che per l’abuso di danno, cioè per lo sviamento del potere esercitato.
In secondo luogo, ciò che non trova giustificazione è ricondurre la posizione di sostanziale debolezza dell’amministrazione esclusivamente a fattori esterni e, nello specifico, ad una sorta di “invasività” del potere giudiziario sull’attività dell’amministrazione che costringerebbe i funzionari ad assumere una posizione difensiva per il timore di incorrere in responsabilità.
La realtà, infatti, è diversa e questa debolezza dell’amministrazione nei rapporti con la magistratura sembra avere, quanto meno in buona parte, delle cause differenti e interne alla stessa.
Non si può non considerare, infatti, che la maggior parte delle amministrazioni, e specialmente quelle locali, scontano gli effetti di anni di politiche di contenimento della spesa che si sono tradotte in tagli lineari, in più interventi di spending review e nel blocco della contrattazione collettiva e del turnover.
Questo contesto, oltre a rendere l’accesso al pubblico impiego molto meno attrattivo che in passato, ha inciso pesantemente tanto sulla formazione quanto sulla motivazione dei dipendenti pubblici.
Gli esiti finali di questo percorso ci affidano un’amministrazione pubblica nella quale le risorse umane, non necessariamente per loro colpa, sono meno preparate e meno motivate e, per necessaria conseguenza, l’intera struttura non può che trovarsi in una posizione di debolezza perché non dispone più della capacità di difendere efficacemente le proprie scelte e, quindi, preferisce rinunciare ai propri spazi di autonomia, che le consentirebbero invece, pur nella distinzione delle rispettive funzioni, di confrontarsi su un piano, se non paritario, quanto meno dialettico, con gli organi giurisdizionali.
Se è indiscutibile, quindi, che le inefficienze della pubblica amministrazione si ripercuotono negativamente sulle performance dell’economia, è altrettanto vero che le contromisure che si assumono dovrebbero essere basate su delle analisi attendibili perché – diversamente – queste non raggiungeranno il risultato che viene dichiarato.